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giovedì 23 settembre 2010

Un segno dei tempi; di Luis Carapinha, tratto da www.resistenze.org





L’innalzamento della Cina alla condizione di grande potenza economica non è cosa da poco. Dopo aver oltrepassato la Germania, nel 2007, i dati trimestrali del PIL divulgati ad Agosto indicano che la Cina è già la seconda maggiore economia del globo, dopo gli USA. Posizione che, tutto lo sta ad indicare, conserverà alla fine del 2010, relegando ad un gradino inferiore il Giappone che, dalla scomparsa dell’URSS, era la seconda economia mondiale. Il paese più popoloso del pianeta è già il maggiore esportatore mondiale e detentore delle maggiori riserve valutarie. La Cina, che non fa parte del club selezionato capitalista del G7 (G8 con la Russia a rimorchio), presenta anche il maggior volume di investimenti interni del mondo (più del doppio del Giappone nel 2009).

Numeri, però, che non fanno perdere la nozione della realtà alla direzione cinese. In termini relativi, il PIL pro capite cinese occupa globalmente una posizione modesta (nonostante aumenti considerevolmente se considerata a parità di potere d’acquisto). Da Pechino, la Cina continua ad essere vista come un paese in via di sviluppo, che si trova ancora nella fase primaria della costruzione socialista. La crescita economica e delle forze produttive permane la priorità centrale, nello stesso tempo in cui le pronunciate disuguaglianze e i disequilibri che accompagnano i tassi di crescita senza precedenti registrati negli ultimi tre decenni, si sono trasformati in una delle preoccupazioni di prim’ordine del PCC e dello Stato cinese.

Se è vero che le contraddizioni e le enormi sfide affrontate dal processo del “socialismo con caratteristiche cinesi” non possono essere sottovalutate, molto meno può essere ignorato il significato dell’impetuoso sviluppo economico, tecnologico e sociale dell’ex impero di mezzo per i popoli del mondo e le forze di pace e progresso sociale.

L’attuale ascesa della Cina, indissociabile dal cammino iniziato con la rivoluzione del 1949 e la fondazione della Repubblica Popolare – che ha lasciato dietro di sé un secolo di guerre dell’oppio e sottomissione semi-coloniale all’imperialismo – si è trasformata in una fissazione ossessiva per le grandi potenze capitaliste e prima di tutto per gli USA, che la affrontano come una enorme minaccia economica e, in prospettiva, militare. L’urgenza di intimidire la Cina ha fatto si che la scalata provocatoria avviata da Washington raggiungesse quest’estate livelli inauditi con la realizzazione di manovre militari in serie e la presenza di un inusitato potenziale bellico di ultima generazione degli USA nei mari che confinano con le acque territoriali cinesi. La Corea del Sud e il Giappone si sono aggregati alla provocazione deliberata. Il pretesto dello strano affondamento dell’imbarcazione di guerra sud-coreana Cheonan – del quale la RPDC ha già negato la responsabilità – è coinciso con i 60 anni dall’inizio della guerra di Corea. Washington è arrivata al punto di concordare con Seul la realizzazione mensile di manovre fino alla fine dell’anno (R. Rozoff, Global Research, 18.08.10). Manovre militari degli USA che si estendono al Mare del Sud della Cina: è evidente che l’imperialismo sta cercando di coinvolgere militarmente i paesi del sud-est asiatico nella strategia di contenimento della Cina, servendosi con astuzia dell’intricato contesto regionale di dispute territoriali e di contraddizioni sul piano economico che non possono essere sanate senza una necessaria posizione di dialogo e principi politici.

La dimostrazione di forza degli USA, che mira anche a condizionare l’atteggiamento della Cina in altri focolai di tensione nella mappa mondiale esacerbati dalla politica delle cannoniere dell’imperialismo, fa seguito all’annuncio della vendita di una nuova fornitura di armi a Taiwan e a crescenti pressioni commerciali, economiche e politiche che hanno come destinatario il governo di Pechino. Con gli ultimi dati dell’economia USA che confermano lo scenario di stagnazione della più grave crisi capitalista dal 1945, l’arroganza della Casa Bianca nei confronti del maggiore creditore degli Stati Uniti è di cattivo auspicio per la pace e la sicurezza internazionali. Ma abusare della millenaria pazienza cinese è un rischio elevato. E il tempo non gioca a favore della strategia egemonica dell’imperialismo…

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