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domenica 25 aprile 2010

Comandante Berlanda: "L'obbligo di fare qualcosa per tutti" ; di Davide Moffa





«Coltivo direttamente, come tutti coloro che hanno combattuto, l'obbligo di fare qualcosa per tutti».

Erano queste, e lo sono tutt'ora, le ragioni che hanno spinto alla lotta partigiana Franco Berlanda.

Professore e architetto in pensione, fu, tra il 1943 fino alla Liberazione, Capo di Stato Maggiore Divisionale delle Brigate Garibaldi impegnate nelle valli di Lanzo e nel Canavese, ovvero tra coloro che diressero e parteciparono alla liberazione di Torino, oltre che del Piemonte.

«Nel novembre del 1944 il comandante delle Forze Alleate, il generale Alexander, aveva ordinato ai partigiani di ritirarsi nei quartieri d'inverno. Ma noi avevamo disobbedito, continuando a combattere: il nostro futuro dipendeva dalla nostra lotta, ne eravamo convinti» ed hanno avuto ragione.

Certo il contributo degli Alleati è stato prezioso, soprattutto per quel che riguarda l'approvvigionamento di armi ed altro materiale (tra cui radio, indispensabili quanto gli indumenti), ma la Liberazione, almeno in Piemonte e nel nord Italia, è avvenuta grazie all'impegno ed all'organizzazione dei partigiani.

All'inizio, subito dopo l'8 settembre 1943, furono in pochi, ad "andar sulle montagne": «e durante gli inverni il numero dei partigiani diminuiva. Ma in seguito ai rastrellamenti dei nazifascisti (che colpivano tanto i partigiani quanto la popolazione civile, ndr.) molti decidevano di unirsi alla lotta».

Alla fine della guerra la 2° e la 4° divisione Garibaldi (quelle impegnate, appunto, nelle valli di Lanzo e nel Canavese) conteranno 610 caduti e 1150 feriti.

Nella primavera del 1945 la vittoria si sente vicina, imminente: gli Alleati avanzano da sud, ad ovest la Francia conduce la sua lotta di liberazione ricacciando i nazisti verso la Germania.

I partigiani piemontesi intensificano le offensive, tanto nelle Langhe e nel cuneese quanto nelle valli di Lanzo e nel Canavese: «prima Lanzo e poi Cuorgnè, e da questi lungo le strade e le ferrovie verso Torino: prima controllando la torre-serbatoio della SNIA (una fabbrica fra Torino e Settimo) e da lì puntando alla città, ai centri strategici.»

Operai organizzati occupano le fabbriche, difendendole dai sabotaggi dei nazifascisti e sostenendo quindi i partigiani.

Dalla Barriera di Milano avanzano verso il centro di Torino, occupando le caserme Valdocco e Cernaia, e infine gli Alti Comandi tedeschi di corso Oporto e la sede della STIPEL (la centrale telefonica).

Da lì a pochi giorni la Liberazione sarà compiuta ed affidata alla storia.

La retorica, così come il revisionismo o la dimenticanza, hanno rischiato e rischiano di stravolgere i fatti della storia, creando o cancellando persone, prima ancora che eroi, come sottolinea Berlanda: «le nostre vicende non erano indirizzate agli stessi obiettivi di chi pensava al traguardo della "bella morte", ma l'amore verso la Patria e per la Libertà».

Una libertà che non è quella generica tanto di moda oggi, bensì una Libertà che non poteva prescindere dagli altri principi universali quali quelli di «Uguaglianza e Fraternità», che saranno poi alla base della Costituzione repubblicana.

La Liberazione ha significato «riconquista dell'indipendenza e della dignità della Patria italiana», una dignità (altro termine pericolosamente desueto) appunto declinata secondo quei principi di libertà, uguaglianza e fraternità.

«E va ricordato a tutti coloro che magari ignorano la nostra storia e nello stesso tempo si rallegrano della loro libertà– conclude Berlanda – come se questa fosse stata concessa senza che alcuno si fosse impegnato in un tremendo scontro in cui molti sono morti, e tanti altri hanno rischiato di perdere la vita perché questo traguardo potesse essere raggiunto».

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