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lunedì 23 maggio 2011

Egitto e Tunisia laboratori del piano economico neocoloniale di Obama di Manlio Dinucci su Il Manifesto del 23/05/2011




Il presidente Obama, nel suo discorso sul Medio Oriente e Nordafrica, annuncia un grande piano economico di «sostegno alla democrazia». I primi paesi in cui sarà attuato sono Egitto e Tunisia. Su richiesta di Washington, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale presenteranno, al summit G-8 che si terrà in Francia il 26-27 maggio, un piano per «stabilizzare e modernizzare le economie egiziana e tunisina».
Gli Stati uniti, dice Obama, non vogliono che un Egitto democratico sia appesantito dal debito del passato: rilevano quindi 1 miliardo di dollari del debito estero egiziano. Non dice però che, se l’Egitto si è indebitato per oltre 30 miliardi di dollari pur essendo un grosso esportatore di petrolio e gas naturale e anche di prodotti finiti, ciò è dovuto al fatto che la sua economia è dominata dalle multinazionali statunitensi ed europee, cui Mubarak aveva spalancato le porte. Tale dominio si rafforzerà, poiché la quota del debito egiziano rilevata da Washington permetterà alle multinazionali statunitensi di ottenere quote di aziende e concessioni petrolifere per un valore di un miliardo di dollari, senza sborsare un dollaro. Sempre per «rafforzare la crescita e l’imprenditorialità» in Egitto, gli Usa garantiranno anche un prestito di 1 miliardo di dollari, stringendo così ancora di più il cappio del debito. Scopi analoghi persegue Washington in Tunisia.
Allo stesso tempo, annuncia Obama, gli Stati uniti stanno creando «fondi d’impresa da investire in Egitto e Tunisia, sul modello di quelli che hanno sostenuto la transizione nell’Europa orientale», ossia il suo assoggettamento alle potenze occidentali. E’ una iniziativa bipartisan promossa dal senatore democratico John Kerry e dal repubblicano John McCain. Scopo di tali investimenti, sia in Egitto che in Tunisia, è «promuovere il settore privato e joint-venture con imprese statunitensi» e, in generale, «la creazione di una classe media». Gli Usa mirano a conquistare anche le piccole e medie imprese: in Egitto sono 160mila, cui si aggiungono 2,4 milioni di microimprese. Quali sia lo scopo di tali investimenti lo rivela il regolamento del Fondo d’impresa Usa-Egitto: esso sarà governato da un consiglio direttivo di 4 cittadini privati statunitensi e 3 egiziani e anche questi ultimi saranno «nominati dal presidente degli Stati uniti».
Crollati i regimi di Mubarak e Ben Ali, Washington tenta in tal modo di creare in Egitto e Tunisia una nuova base sociale che garantisca i suoi interessi. Questi due paesi saranno il laboratorio in cui si metterà a punto il piano, che prevede lo stanziamento di 2 miliardi di dollari per «sostenere gli investimenti privati in tutta la regione» e lanciare una «iniziativa complessiva di partnership di commercio e investimenti in Medio Oriente e Nordafrica». A tale piano, aggiunge Obama, partecipa anche la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, che si prepara a «fornire alla transizione democratica e alla modernizzazione economica in Medio Oriente e Nord Africa lo stesso appoggio dato all’Europa orientale».
Infine Obama annuncia che «aiuteremo i nuovi governi democratici a recuperare i beni rubati». Chiaro è il riferimento anche ai fondi sovrani libici, ammontanti a oltre 150 miliardi di dollari, «congelati» soprattutto da Stati uniti, Gran Bretagna e Francia. Quando saranno «scongelati», saranno trasformati in «fondi d’impresa» per impadronirsi dell’economia libica.

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